Navigo inoperoso, la mia canoa percorre i meandri di un vecchio fiume, io
mi sento ancora bambino.
Gira la corrente, setaccia i frammenti di roccia, qua i più grossi , là i
più fini. Varia ogni volta la forza, il ritmo, scrive la storia del fiume,
il ricordo di un ansa, l'ombra di una morta, il segno impetuoso di una
rapida si registrano puntualmente nei sedimenti. Osservo il profilo di uno
scavo nella pianura e rivedo la storia del luogo negli strati nudi che
passano dalla sabbia fine al limo ai ciottoli per ritornare poi a strati
torbosi ricoperti di argilla. È un viaggio nel tempo, vissuto per caso da
quell'unico pezzo di mondo invaso da un fiume. Non rimane la traccia di
chi ha vissuto quel tempo, di chi avrà bevuto, disceso o giocato di
quell'acqua, ma solo di chi si è fermato stanco di viaggio sul fondo.
Mi piace allora sognare e vedere in quel fantastico fiume chi oltre al
lavoro, alla pesca, avrà saputo godere, aggrappato ad un tronco o in un
fragile guscio di scorza del bello superfluo e giocoso che l'acqua sa
regalare.
È appunto ciò che non serve che ci serve di più, e lo trovi nei bambini
che giocano insieme nell'acqua ed in noi quando riusciamo ad esserlo
ancora. Non importa se non lasciamo traccia concreta ai posteri, forse
rivivremo nei sogni di chi saprà ancora riflettere davanti ad un banco di
sabbia.