Quando ti trovi infilato in due metri di polietilene a cavalcarne 20 o più
metri cubi al secondo di acqua che rotolano giù da un fiume di alto corso,
ti è chiaro cosa significa selvaggia.
Dal dizionario: chi vive, chi cresce nelle selve, nelle foreste, non
addomesticabile, feroce.
L'acqua acquista un'anima è viva.
L'aspetto più tipico è proprio quello di non avere aspetto, le onde, i buchi
perdono la loro stazionarietà per diventare pulsanti, ribollenti. Non basta
guardare, bisogna interpretare d'istinto quello che il corpo ci trasmette.
È l'istinto la chiave per aprire questo tesoro. Il tempo non ti consente
pensieri, dubbi, strategie; devi solo affidarti al sentire e agli
automatismi imparati, tutto il resto è di troppo.
Scendere un fiume selvaggio è anche godere di tutto il naturale che può
trasmetterti, non è solo un gesto atletico e tecnico, è
un sorso di libertà che entra dai pori per dissetarti l'anima.
È divertente pure un canale artificiale, un salto, uno spot, ma è un'altra
cosa, ha un sapore del tutto diverso.
Chi ha letto con piacere Salgari conosce e apprezza la differenza tra la
tigre e il gatto di casa, e non è solo questione di dimensioni, il felino
ha rinunciato al selvaggio per un comodo pasto, ma se lo guardi negli occhi
laggiù nel profondo lo vedi ancora, e ormai è troppo lontano.
Nel nostro profondo c'è ancora? Ci piace sperarlo e farlo uscir fuori, e
trovarlo negli occhi dei compagni di discesa alla fine di ogni rapida vera.