Da quando l'Uomo ha imparato ad utilizzare oggetti (Homo abilis), ha finito
per affezionarsi ad essi, e spesso ne ha fatto oggetti di culto.
Entro in garage sulla destra una catasta di canoe sulla sinistra pagaie ed oggetti
di pratica d'acqua ormai fermi da anni, ma dai quali non mi riesco a distaccare.
Se con un po' meno di distrazione butto lo sguardo su di uno in particolare,
ecco che parte una sorta di nostalgia per quello che è stato, per i momenti che
evoca, per il vissuto che trasmette. L'oggetto rappresenta il legame visibile con
il ricordo, è qualcosa di più di una foto che blocca un momento, un oggetto
usato porta con se tutto il tempo che ci è stato compagno in diverse circostanze.
Coperto di polvere e di rappezzi lo scafo di un 3 e 80 in fibra di vetro, la prima
barca che ho avuto, pensate che all'epoca era considerata una barca corta!
La sensazione è di avere ancora le mani appiccicose di resina e la pelle
irritata per la lana di vetro, ho forse passato più tempo in riparazioni
che in fiume. Tra le doti migliori: la grande instabilità, il pozzetto così
piccolo da dover essere contorsionisti per entrare e soprattutto per uscire,
la manovrabilità di un tronco d'albero, è appunto di quegli anni il termine
canoistico "controroccia" , e non è riferito propriamente all'acqua come
qualcuno potrebbe pensare. Non lo userò mai più, ma l'idea di buttarlo
non mi viene per nulla. Per la cronaca era stato acquistato usato in comproprietà
per lire 50.000 ed era un investimento.
Un paraspruzzi in neoprene, spalmato di bostik e simile ad un groviera, con
ancora attaccate le bretelle è lì, ma come si fa a buttarlo in un bidone
dopo averlo sognato per oltre una stagione e dopo averci fatto i più bei
fiumi della Francia meridionale.
E si potrebbe continuare per ognuno dei pezzi di ciarpame che cominciano ad
essere ingombranti, tutti ne avrete e non starò quindi a tediarvi.
Concludo dicendo che non sempre è bene tenere tutto e "Per fortuna c'è
il mercatino".