Canoare è stare tra cielo e acqua, posizionarsi dove i due mezzi si
incontrano, dare al proprio corpo la possibilità di stabilizzarsi appena al
di sopra dell'acqua e appena al di sotto dell'aria.
Troppo leggeri per sprofondare e troppo pesanti per volare.
Si, è vero, per brevi istanti anche questo sembra possibile, il canoista
medio ha enorme stima di sè e dei propri mezzi, (leggasi presunzione)
immergendosi in un catino da una cascata o realizzando quello spettacolare
looping aereo che raramente pensato, accidentalmente accade, con euforica
meraviglia.
Il canoista è un cuneo umano tra i due elementi, non importa se è
la piatta superficie di un lago o la pendente e tribolata banda di un torrente
che ci culla, noi siamo li.
Due mondi a contatto ci confinano in questo spazio che non è spazio. Due
sole sono le dimensioni, compressi tra Legge di Gravità e Legge di Archimede.
Se non siete già claustrofobici provate a continuare il bello viene ora.
Considerati quindi questi aspetti, non è poi così difficile praticare la
canoa, è iperstabile se si esclude qualche problema nella respirazione in
acqua e il cozzare con tutte quelle cose immobili che stanno a mollo.
Perchè dunque ci si diverte tanto?
Cosa ci spinge a trovare ogni pretesto per canoare?
Quale la molla creativa per non scadere in gesti noiosi?
In pratica, quali sono i cieli del canoista medio?
Primo, imparare - La voglia di apprendere è sicuramente la miglior dote di un
canoista. Vi ricordate quando per la prima volta avete posato il vostro
peso su di un guscio? Cosa significava perdere i puntelli delle gambe per
affidarsi ad una traballante superficie curva tra acqua e aria? Beh, nè è
passato di tempo, però la voglia di capire, di imparare, di governare la
barca è la stessa. Almeno metà del divertimento sta nell'imparare.
Secondo, esplorare - Diventa prioritario adesso spostarsi in su, in giù, di
traverso, cercare le morte, i traghetti, doppiare i promontori, ma non
basta, bisogna esplorare se stessi, capire il proprio limite, osare. Si
contano i gradi, si provano volumi, ci si ficca in buridoni che prima
facevano paura. Un aspetto è il nuovo, il mai fatto, l'impraticato.
Terzo, attrazione per l'ambiguo - Non sempre l'acqua è acqua e l'aria è aria.
Pensate alla schiuma di un salto o alla cresta di un'onda. Tutto quello che
avevamo detto sulla stabilità va quasi a puttane. La nostra barca e la
pagaia sembrano bucate, non galleggia, non spinge; in compenso non è più
facile respirare. È la dimensione delle non certezze, forse non riesce
l'eskimo. È il paradiso del dubbio, a non tutti piace.
Quarto, fusione - Dopo le inevitabili batoste che ci siamo procurati ci si
converte dal contro al con. Mi spiego: per quanto forti e tenaci, niente si
puote se Colà non si vuole. La natura è più forte di noi è
meglio allearsi che combatterla. Il giocare col fiume non è sfidarlo è
assecondare il suo volere, danzare con un ricciolo, ruotare in un buco, surfare l'onda
cercando di essere piatti, invisibili, fusi tra gli elementi e con
minuscole canoe ruotare come molecole disperse tra quelle di acqua e di
aria con il minimo sforzo è sublime. Beato chi ci riesce!