Di Lucio Mazza Agosto2008
La Repubblica dell’Altai si estende a cavallo tra il Kazakistan, Mongolia e Cina, oltre alla Siberia meridionale. L’area fa parte della federazione russa, ben ce ne accorgiamo al momento delle varie operazioni burocratiche da espletare per poter visitare questa fantastica e selvaggia porzione di Siberia; il territorio è occupato da steppe, aree semidesertiche, montagne e oltre 7000 laghi, e culmina nelle “montagne d’oro” sito definito patrimonio dell’umanità dall’Unesco, che comprende la cima più alta della Siberia: il monte Beluka con i suoi 4506 metri.
Il nostro viaggio inizia con l’arrivo a Barnaul nel territorio dell’Altai, regione quasi pianeggiante a nord della repubblica, e già qui ci accorgiamo della difficoltà di muoversi con i nostri kayak: i bus e i minibus e i taxi non sono dotati di portapacchi, perciò per il trasporto si ricorre a lunghe trattative con gli autisti dei mezzi di linea pagando dei supplementi sul biglietto sia allo sportello che poi sottobanco allo stesso autista; fortunatamente siamo aiutati da Misha, un ragazzo russo che parla un po’ inglese, molto incuriosito dal gruppo di due italiani e uno svizzero con Kayak al seguito. Da Barnaul raggiungiamo Gorno-Altaisk, la capitale della repubblica dell’Altai, che si presenta come un susseguirsi di anonimi edifici di cemento di epoca sovietica e decadenti costruzioni in legno che disturbano la vista di una verdissima vallata piena di fascino.
Qui troviamo ad accoglierci Jgor, un amico di Misha, che ci trova una stanza dove passare la notte (non siamo stati accettati dagli hotel poiché siamo sprovvisti di timbro sui visti e gli uffici amministrativi avrebbero aperto solo due giorni dopo). Siamo ospitati dalla famiglia di Jgor e I suoi genitori ci invitano a fare la bagna (Sauna russa posta in un fabbricato di legno nell’orto-giardino di casa) e ci offrono una tipica cena locale approfittando degli eccezionali frutti dell’orto di casa. Qui non senza difficoltà illustriamo I nostri progetti, mostrando le informazioni e i documenti scaricati dalla rete. Gli amici che ci ospitano ci spiegano che le strade segnate sulle carte in nostro possesso sono per lo più praticabili a cavallo con molti giorni di marcia, oppure con speciali 4x4 difficilmente reperibili in loco; l’ingresso ad altre zone è consentito solo con speciali permessi per i quali è necessaria un’attesa di una decina di giorni. Un po’ di scoraggiamento comincia a pervadere il team, ma la madre di Jgor (il capo famiglia!) ci fa incontrare una guida raft che ci avrebbe dovuto dare indicazioni più precise e magari un aiuto nell’organizzazione del tour.
Costantin, la guida rafting, in realtà ci propone un pacchetto viaggio sul fiume Chuya a seguito del suo gruppo di raft che avrebbe disceso il fiume in quattro giorni. Viste le grosse difficoltà che stiamo incontrando a reperire un mezzo adatto alle nostre necessità e la difficoltà di spostamento sulle strade, siamo tentati ad accettare l’offerta di Costantin ma aspettiamo fino al giorno successivo per dargli la conferma definitiva. La notte porta consiglio!
Il giorno dopo Jgor e il padre ci prelevano di buon ora al mattino, ci portano a timbrare i visti. Sbrighiamo la cosa in quindici minuti e senza pagare i supplementi che ci aveva invece richiesto la guida raft. Quindi raggiungiamo la “capo famiglia” nel suo ufficio in un market di cui è amministratrice; ci chiede se abbiamo deciso di accettare la proposta della guida oppure se vogliamo un mezzo nostro. Illustriamo alla signora il nuovo progetto stilato la sera precedente, un’ipotesi di tour di fiumi da discendere in autogestione senza l’appoggio delle compagnie che propongono trip solo su tratti commerciali e con tempi di percorrenza molto lunghi. La signora interpella una ragazza che lavora lì, originaria dei luoghi che vogliamo raggiungere, per verificare con lei la fattibilità del nostro itinerario; nel giro di pochi minuti ci procura un furgone con portapacchi e un autista disposto ad accompagnarci e fare campeggio con noi per dieci giorni; inoltre Jgor, che studia a Mosca con il ragazzo conosciuto alla stazione dei bus, ci accompagnerà in questa avventura. Finalmente la tensione si allenta, la partenza è vicina e l’adrenalina incomincia a salire. Al momento della partenza le sorprese non sono ancora finite: la signora ci fornisce ben due tende per la notte, (avendo viaggiato in aereo con kayak al seguito siamo dotati solo di teli per ripari di fortuna e sacchi a pelo piuttosto leggeri) cassette di alimenti raccolti nell’orto di casa, una cassa di scatolette di pesce, legumi, carne e I dolcetti fatti in casa dalla nonna, pentolame, tanica per l’acqua, insomma tutto il necessario per un battaglione in spedizione. Ci sentiamo un poco a disagio di fronte a tanta generosità gratuita verso tre perfetti sconosciuti.
I FIUMI
Si parte! Prima discesa: un breve tratto del fiume Katun, il maggiore dei fiumi dell’Altai, ci dicono che quest’anno il livello è un po’ basso, ma per noi 600 non sono usuali e fanno un pò impressione. Discendiamo 30 Km con difficoltà di II-III grado e alla fine incontriamo un enorme rapida di IV, questo è un primo assaggio del grande volume, iniziamo ad ambientarci.
In totale abbiamo percorso circa 170 km lungo il corso del Katun: dalla città di Yaloman a Chemal, in cinque giorni di navigazione, quattro dei quali in autosufficienza, trasportando tutto il materiale necessario in kayak; bellissimi I primi giorni nella gigantesca gola del Katun, con difficoltà di III e alcune rapide di IV; gli altri giorni le difficoltà diminuiscono e la valle si allarga in scenari veramente monumentali. Questo tratto è frequentatissimo dai russi che lo discendo con gommoni kataraft e improbabili imbarcazioni derivate da ponti pneumatici utilizzati in epoca sovietica. Aiutati dalla curiosità che suscita il vedere tre kayak condotti da due italiani e uno svizzero, la sera ci capita spesso di essere invitati dai locali a bere vodka e mangiare intorno al fuoco il pesce fresco del fiume. Dopo qualche bicchiere di vodka scatta il confronto canoro tra I grandi successi della musica italiana e le malinconiche canzoni popolari russe. Ci divertiamo mimando e cantando a squarcia gola un vastissimo repertorio che va da “’O sole mio” a “Yuppi du”!
Durante la discesa del Katun risaliamo a piedi, canoa in spalla, il Kadrin per circa 2 km. L’imbarco della parte canoisticamente più interessante è raggiungibile con due giorni di marcia a cavallo. L’acqua, al contrario del Katun, è cristallina ma freddissima, il tratto disceso è molto carino con circa 6-8 di portata, la difficoltà è di III grado con un’ultima rapida di IV alla confluenza con il Katun. Più a valle, sempre nel canyon, discendiamo l’Ursui, dopo averlo risalito lungo un sentiero di montagna er ben 4 km. Il torrente scorre in una piccola valle molto carina, l’acqua è verde smeraldo e non troppo fredda; la discesa inizia con una rapida di IV grado e prosegue Fino alla confluenza con difficoltà di III, la sua portata è intorno ai 5 .
Chuya è il maggiore degli affluenti del Katun, in questo periodo la sua portata è molto alta, 80-100 Lo discendiamo da 3 km a monte della Majoy gorge fino alla confluenza con il Katun per circa 100 km. Evitiamo un tratto di 3 km in una gola non ispezionabile di V-VI grado, navigato solo una volta da un canoista russo in maggio, con un livello d’acqua sicuramente più basso.
La Majoy gorge prende il nome dal ghiacciaio che la sovrasta. Questo alimenta il torrente omonimo (impraticabile in questo periodo) che confluisce nella parte iniziale e più impegnativa del Chuya, nei suoi primi 5-6 km le difficoltà sono di IV grado con rapide lunghe anche 500-600 metri, con questo volume non c’è molto da rilassarsi; la seconda parte, dove la gola si stringe e prende più pendenza, per altri 4-5 km il fiume diventa di IV continuo con rapide di V. Noi lo discendiamo in 8-9 ore con alcuni trasbordi. Lo sbarco è in prossimità di un vecchio ponte distrutto periodicamente dalle piene, oltre il ponte il fiume si mura per 3 km in pareti verticali alte 40 m. Il resto del Chuya é una bella discesa lungo la valle che collega la Siberia alla Mongolia, passando dalla impropriamente chiamata steppa, in realtà un immenso altopiano a 2000 m, coronato da ghiacciai e foreste su un lato e montagne desertiche sull’altro. Le difficoltà sono di II-III grado con quattro bellissime rapide di IV grado lunghe e potenti, due nella parte successiva alla Majoy gorge, e due negli ultimi 5 km prima della confluenza con il Katun.
Percorriamo anche l’Akturu nei pressi del villaggio di Curay, torrente di ben poco interesse canoistico. Per I primi 4-5 km il torrente non ha un proprio letto ma scorre attraverso la foresta fino alla confluenza con un altro corso d’acqua. Da qui forma finalmente un proprio letto percorribile, presenta 500 m di IV grado e 1 km di III. Alla fine di questa goletta l’acqua scorre in un ampio letto di ghiaia in uno scenario spettacolare nel deserto della steppa, attraversando oasi con branchi di cavalli allo stato brado. L’Akturu confluisce infine nel Chuya che in questo tratto serpeggia placidamente tra basse colline verdeggianti.
Abbiamo disceso circa 300 km di fiumi, in scenari davvero mozzafiato nella maggiore delle valli della Repubblica dell’Altai, attraversando paesaggi spettacolari tra vallate, montagne, ghiacciai, foreste, deserti, incontrando cervi, cavalli, aquile, scoiattoli. Un ambiente davvero unico che merita di essere visitato. Questo è stato possibile soprattutto grazie all’altruismo delle persone che abbiamo avuto la fortuna di conoscere. Grazie a Misha, Jgor e tutta la sua famiglia.
Hanno partecipato:
Alex Pellegrini
Fabio Corvino
Lucio Mazza